Tecno-fibre, un mondo da conoscere

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Nell’abitare quotidiano la predilezione per il tessuto naturale è dominante e assoluta. Sono davvero pochi in Italia gli “sperimentatori” che sarebbero disposti a dormire sotto un lenzuolo in tecno-fibre. Eppure, ogni giorno, vestiamo un pile, ci accomodiamo su un divano rivestito e imbottito di microfibra, puliamo gli oggetti più cari con stracci artificiali o sintetici. Non si tratterà quindi di un atteggiamento preconcetto e non giustificato? Cerchiamo di raccontarvi le differenze tra fibre per fare un po’ di chiarezza. Ciascuno di noi, soprattutto in Italia, di fronte alla scelta non legata a usi specifici, tra una maglietta in puro cotone e una in fibra artificiale, ci metterebbe pochi millesimi di secondo a optare per quella naturale. È una scelta sana, logica: perché la fibra naturale è, per eccellenza, la migliore risposta al bisogno di coprirsi dell’uomo. Eppure, se cerchiamo di mantenere una sorta di neutralità “scientifica” non possiamo che notare quanto l’uso di fibre naturali sia diventato una sorta di credo assoluto, di dogma indiscutibile. Per questa ragione, escluso il ristretto ambito dell’uso tecnico e sportivo, la fibra artificiale è vissuta istintivamente con una certa repulsione – soprattutto quando è destinata a entrare in contatto con la pelle – dalla gran maggioranza dei cittadini.

È solo una delle miriadi di contraddizioni che caratterizzano i comportamenti degli esseri umani, ma essendo riferito al nostro mondo si estremizza in modo particolare. È un atteggiamento mentale tipicamente italiano: lasciando stare gli Stati Uniti, particolarmente “aperti” e disponibili all’uso delle fibre artificiali, anche nazioni come la Germania, molto sensibili al tema naturale, non hanno un atteggiamento così culturalmente chiuso verso le fibre fatte dall’uomo. L’identificazione ormai arcaica delle fibre artificiali con la “plastica” è quanto di più inesatto ci possa essere: lo era prima e lo è, in particolare, ora. Prima di tutto perché la ricerca è tutta indirizzata a realizzare fibre artificiali che rendano la completa e assoluta eco-compatibilità ed eco-sostenibilità; in secondo luogo perché l’equazione fibra artificiale = tessuto che non fa respirare – esempio di pura disinformazione – è altrettanto sbagliata: basta guardare all’uso delle fibre artificiali nel campo dell’escursionismo o degli sport di montagna in generale per capire che non c’è nessun capo in materia naturale – salvo la piuma, ma una t-shirt in piuma non ha da essere – che renda performance di calore, protezione e traspirabilità paragonabili a quelle delle fibre tecniche innovative. Dunque vogliamo fare un po’ di chiarezza, liberi poi di continuare a prediligere la materia naturale ma avendo ben chiaro che tutto ciò che è fibra artificiale non è “male” per definizione.

Artificiali e sintetiche: le differenze

Cominciamo con la prima distinzione d’obbligo: la differenza tra fibre naturali, artificiali e sintetiche. Le prime rappresentano la risposta più antica alle esigenze di copertura e di sostentamento dell’uomo. Per esempio le fibre vegetali, ricavate da erbe palustri, da steli filamentosi e da foglie coriacee, furono le prime ad essere notate nel patrimonio naturale che circondava i nostri antenati. Il loro utilizzo, che risale all’epoca delle palafitte, era limitato alla fabbricazione di funi e reti da pesca. Mentre quelle di origine animale, in particolare ovviamente la lana per usi tessili, è legato a organizzazioni sociali di tipo agricolo e pastorale, mentre il successivo impiego della seta si può ambientare in organizzazioni di stampo artigianale. In Occidente le prime piante coltivate specificamente per scopi tessili furono la canapa e il lino. La grande diffusione del cotone avvenne in epoche più recenti e seguì l’introduzione di processi di lavorazione industriali, dettati dall’esigenza di soddisfare i bisogni di masse di consumatori sempre più consistenti.

Ma l’uomo non si fermò allo sfruttamento dell’esistente. ll desiderio di emulare la natura e di garantire una produzione non soggetta all’influenza delle condizioni ambientali e stagionali furono i fattori principali che indussero l’uomo a ricercare dei materiali che sostituissero le fibre naturali.

Ecco allora affacciarsi il mondo delle tecno-fibre, comunemente conosciute come fibre chimiche – le prime tracce di studi sull’argomento risalgono addirittura al tardo 1600 – categoria che a sua volta comprende le fibre artificiali (cioè prodotte a partire da polimeri organici di origine naturale come la cellulosa) e quelle sintetiche (prodotte da polimeri di sintesi cioè, a differenza delle fibre artificiali, a partire da un polimero non esistente in natura ma sintetizzato dall’uomo), infine le inorganiche, prodotte cioè da minerali o sostanze inorganiche, quindi senza carbonio.

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