di Sergio Coccia
Alla ricerca estiva di qualche buona notizia da commentare ci siamo imbattuti in un articolo di un magazine online che narrava dei buoni risultati del segmento di vendita “Porta a Porta”. Tale canale merceologico ha un andamento storicamente positivo ma, soprattutto in epoca di crisi profonda, evidenzia il suo essere profondamente anticiclico. In generale le vendite a domicilio hanno segnato un +8,12% nel 2012 sull’anno precedente e questo vale per il complesso totale delle merceologie. In particolare nella cosmesi e nella cura del corpo i risultati sono ancora più evidenti: per esempio la conosciutissima Avon, presente in Italia con le sue presentatrici da quarant’anni, negli ultimi cinque anni ha visto crescere il suo fatturato di oltre il trenta per cento. Lo spaccato della cosmesi – dati Unipro – ha segnato vendite per 437 milioni di euro e una quota di mercato del 4,5% con il 2% in più rispetto all’anno precedente e un risultato opposto all’andamento generale del segmento che ha visto un calo annuale dell’1,8%. Mica paglia!
Ora si dirà che condividere con le amiche la presentazione di un prodotto di bellezza, imparare a usarlo nella tranquillità della casa, è un sistema di vendita che è sempre piaciuto alle consumatrici, mentre per altre categorie di prodotto il discorso è ben diverso. Nello specifico del nostro settore, dopo i fasti di qualche decennio fa, il porta a porta rimane nella memoria collettiva più per i danni d’immagine che ha portato (il “raso setificato” ovvero semplice poliestere spacciato per seta ne è solo l’aneddoto più diffuso) che per il suo valore, eppure non tutto è furberia e inganno. Ci sono fior di aziende che operano con serietà e successo in questo campo e al loro esempio ci riferiamo e vogliamo utilizzarle per portare la riflessione sul metodo. Ci sono imprese del campo biancheristico che organizzano non solo presentazioni sul prodotto, ma veri e propri incontri sull’arte del ricevere portando a questi momenti collettivi architetti esperti nella storia del cerimoniale. Dopodiché la vendita della tovaglia o del completo da ricevimento diventa solo un’ovvia conseguenza. Il problema di fondo, lo sappiamo, è che non ci sono soldi in giro, ma è anche indiscutibile che il tessile casa è sceso nella considerazione del consumatore medio perché non si riesce a stimolarne il valore percepito, il piacere di averlo e utilizzarlo correttamente. Quindi viene inesorabilmente relegato a complemento da acquistare solo per sostituzione. Questo è il vero circolo vizioso da spezzare, e allora perché non imparare da chi riesce già in questo intento? È sempre un problema di volontà e creatività. La dimensione media dei nostri negozi non prevede spazi in cui organizzare corsi o incontri sulla cerimonia o sull’arredamento, ma raccogliere le adesioni di un certo numero di proprie clienti e organizzare momenti collettivi nelle case di alcune di esse – dimostrando dal vero come può essere cambiata, – mettendo in campo magari qualche giovane arredatore d’interni alla ricerca di un lavoro, potrebbe essere un buon modo di ravvivare l’interesse verso il nostro comparto e, magari, presentare anche l’ultima collezione di questo e di quel fornitore. È indiscutibile che la narrazione, il racconto, creano interesse e stimolano l’identificazione, ne viviamo i risultati in ogni momento della giornata grazie alla pubblicità, eppure il rapporto diretto, collettivo raggiunge obiettivi ben più sostanziosi – lo dimostrano proprio i risultati delle vendite a domicilio – e il tessile per la casa può essere uno dei soggetti ideali di questa strategia. Anche per un negoziante che abbia desiderio di coccolare e stimolare la propria clientela.