Symbola. Il ruolo delle aziende per una società sostenibile

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La sostenibilità è diventata un fattore per riorganizzare modelli di business e il mercato, opera una selezione di comportamenti e di imprese in cui risulteranno vincenti quelle aziende che praticheranno una visione attenta alla persona e al suo ambiente.

Ne parliamo con Domenico Sturabotti, direttore di Symbola.

Cosa significa oggi per una azienda essere sostenibile?

Il tema della sostenibilità è stato visto negli anni passati soprattutto come una risposta a problemi legati all’ambiente. Quindi in una prima fase era visto come qualcosa di esterno alle aziende di cui prendersi carico. Via via il tema si è arricchito e si è visto che ha a che vedere anche col business dell’impresa. Questo ha portato, da un lato l’azienda a capire che sostenibilità vuol dire rendere il modello di business duraturo nel tempo perché se, ad esempio, avvicino l’approvvigionamento della materia, auto-produco energia … in qualche modo mi garantisco sostanzialmente una vita molto più lunga, perché meno dipendente da eventi esterni all’impresa. Dall’altro, le aziende hanno anche compreso che questo aspetto ha a che vedere con la riduzione dei costi: se realizzo prodotti e beni utilizzando meno acqua, meno energia e meno materia sto utilizzando dei beni che costano meno, quindi con maggiore efficienza.

Contemporaneamente i consumatori, siano essi cittadini che clienti finali, ma anche il settore B2B hanno iniziato a selezionare i prodotti in base ai livelli della sostenibilità per cui anche il mercato ha iniziato a esprimere la domanda di prodotti sostenibili per cui oggi il tema ambientale diventa un fattore di scelta del fornitore. Il 56% delle aziende dell’arredo seleziona i propria fornitori in base anche ai temi ambientali e non solo in base a parametri legati al costo. Anche i cittadini oggi, se ci sono le condizioni di prezzo giusto, sono molto orientati a scegliere i prodotti sostenibili rispetto a quelli che non lo sono. Quindi, il mercato è diventato un altro fattore che spinge le imprese in questa direzione.

Terzo elemento la finanza sta premiando nelle scelte di finanziamento quelle aziende che hanno questo modello di business resiliente agli attacchi legati alla crisi di materie o di energia esterne all’impresa. Se una azienda è al 100% rinnovabile dal punto di vista energetico quell’azienda sarà inattaccabile, qualsiasi crisi accada nel mondo.

Una sfida che non si può non intraprendere, considerando anche i due nuovi articoli della nostra Costituzione sulla sostenibilità…

Esatto, dobbiamo riorganizzarci in modo tale che quando la popolazione aumenterà e chiederà beni e servizi a livelli occidentali, il mondo con le risorse che ha e che sono limitate, riesca a rispondere. Vuol dire cambiare il modello, chi non entra in questa nuova logica sostanzialmente esce dal mercato.

Realisticamente che tempistiche vede?…

È una transizione che ci sarà, le risorse sono limitate c’è poco da fare. Questa transizione, però, ha degli altissimi costi iniziali perché bisogna riorganizzare dei settori produttivi e l’impresa, ma avrà costi bassissimi successivamente. Se mi approvvigiono di energia da rinnovabili, quando ho ammortizzato i costi da un certo punto in poi l’energia costerà zero. L’investimento iniziale a un certo punto diventa zero. Però il punto è che questa trasformazione ci sarà e via via toccherà tutti i settori dell’economia.

Mi diceva di un vostro un focus nel settore dell’arredo… i driver principali?

La sostenibilità richiede un cambiamento culturale che tocca tantissimi aspetti del settore, quindi, ci siamo detti che quello che serviva era “darsi una strategia che toccasse tutti gli aspetti della sostenibilità”. Abbiamo costruito un decalogo per Federlegno che è diventato una specie di guida per capire in che modo il settore potesse creare sostenibilità. In questo decalogo c’è un tema di rigenerazione. Il settore deve prendersi cura della rigenerazione di risorse, perché noi non possiamo più operare in una logica estrattiva. C’è, poi, un tema di sostituzione dei materiali quindi traghettare verso l’utilizzo di materiali rinnovabili. C’è, naturalmente, un tema di design. Bisogna tornare a riprogettare e riassemblare prodotti che durino.

Alcuni ambiti del consumo ci hanno abituati a sostituire, piuttosto che cercare alternative…

Esatto, ma oggi in controtendenza c’è un movimento internazionale sul diritto alla riparazione, ad esempio adesso Apple è obbligata a rendere riparabili i propri prodotti. Anche un mobile deve essere riparabile, se io faccio un mobile e dopo due anni non ho più i pezzi di ricambio quel prodotto non va bene, il settore sta lavorando su questo. Poi c’è il fine utilizzo, l’obiettivo è far durare i prodotti il più possibile però, qualora questo non fosse possibile, il settore sta organizzando dei sistemi di raccolta per poi far tornare i materiali utilizzati nei cicli produttivi.

C’è poi un ulteriore valore fondamentale, la trasparenza, perché tutto quello che stiamo dicendo adesso deve essere garantito e certificato, perché oggi c’è il rischio fortissimo di false informazioni che vengono date al consumatore. Altri aspetti importanti sono legati ovviamente alle relazioni perché la sostenibilità obbliga i soggetti a mettersi insieme: chi recupera il rifiuto, a fine utilizzo deve produrre materiali che possono servire invece all’inizio del ciclo produttivo, quindi si crea un materiale sostenibile magari per altri settori. Le alleanze, sono un fattore chiave.

I consumatori cosa si aspettano…

Il consumatore guarda all’impresa come un soggetto che può fare cose per il bene comune. Questo è molto più forte per le piccole imprese: c’è un percepito di questa positività di azione per le imprese nella piccola scala e di prossimità, l’azienda vicina.

Quale altro ruolo per le aziende?

Purtroppo non c’è ancora l’idea che l’azienda possa invece svolgere la funzione di cambiamento su temi come la società o il clima, e questo è un aspetto secondo me in cui ci sono dei deficit di comunicazione. C’è ancora una percezione di imprese come un soggetto che fa business e punto. Mentre è fondamentale comunicare che ci sono aziende per le quali è importante prendersi cura del contesto in cui operano.

C’è anche una questione interna di sostenibilità aziendale, di inclusione…

Certo, sì. Abbiamo visto che le aziende che abbiamo chiamato coesive sono quelle che in qualche modo progettano le relazioni con i propri dipendenti con il proprio territorio con i propri clienti, con i propri fornitori, sono quelle che funzionano meglio perché è come se creassero un legame con questa comunità di soggetti che sono interni ed esterni all’impresa, da cui hanno stimoli sull’innovazione. Sono aziende più intelligenti che capiscono che poi la vera risorsa sono le persone con le loro differenti competenze. Sono aziende che funzionano meglio perché hanno tantissime antenne.

In generale una economia second hand…

Generalmente il materiale riciclato costa un po’ di più rispetto a un materiale vergine, quindi, spesso un prodotto fatto con materiali riciclati può costare di più per tanti fattori: le aziende che fanno recupero hanno puntato più sulla trasformazione del rifiuto che sulla valorizzazione della materia second hand. Il secondo aspetto è culturale: in alcuni settori come la moda è sdoganato, in altri settori no. C’è, poi, un tema di design: se il prodotto è identico a quello fatto in maniera vergine, l’occhio va subito sulla differenza. Deve esserci un miglioramento: non è sostituire un qualcosa con un materiale diverso è proprio un’occasione per pensare a un prodotto in maniera nuova.

Come coinvolgere i consumatori?

Un aspetto importante è la comunicazione. Fare campagna di informazione raccontando quello che non è visibile, in modo tale che il consumatore abbia gli elementi per poter scegliere un prodotto sostenibile rispetto a un modello che non lo è, ma possa anche per capire perché quel prodotto costa un po’ di più quindi bisogna fornirgli quegli elementi di valore che poi gli permettono edi scegliere. Non basta solo “fare” qualità e sostenibilità, bisogna anche saperla raccontare altrimenti, il mercato premia la non qualità.

CHI È SYMBOLA

Symbola è la Fondazione che promuove e aggrega le Qualità Italiane. Con ricerche, eventi e progetti racconta aziende e istituzioni che migliorano il Paese puntando su innovazione e sviluppo, bellezza e creatività, capitale umano e territorio. Green economy, cultura e coesione sociale sono tre indicatori fondamentali: chi sceglie questi driver incrementa il proprio valore economico e sociale facendo bene al Paese, dando vita a un modello di “economia della Qualità” legato al territorio e all’identità ma con una forte vocazione alla creatività e all’innovazione: la soft economy. Dal 2005 Symbola mette insieme le migliori menti del Paese, le imprese che fanno la Qualità o che investono per farla, trovando nuove strade per aumentare la competitività del Made in Italy. I soci, oltre 100, hanno scelto di investire e credere in un nuovo percorso: si sono uniti ad un movimento culturale che cresce nella convinzione che la Qualità sia l’unica risposta possibile agli interrogativi sul futuro del Paese. (L.T.)

 

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