Architettare l’eccellenza nella tavola italiana

Da una vita dedicata al design di negozi, Ulderico Lepreri condivide la sua esperienza su come elevare la presentazione del prodotto e influenzare i consumi valorizzando la tavola e rilanciando il retail moderno

Architetto Ulderico Lepreri. © Alberto Jona Falco

“È una passione che coltivo fin da bambino, quella per la tavola, le porcellane i cristalli, gli argenti”, con queste parole inizia la nostra intervista a Ulderico Lepreri, architetto che, con l’omonimo studio, ha firmato alcuni dei negozi più interessanti soprattutto nel settore del casalingo, dell’oggettistica e della gioielleria ma attivo anche nella realizzazione di mostre, come il più recente lavoro, in occasione della manifestazione Milano Home (gennaio 2024), “Manifatture in scena”, con la presenza di alcuni dei più prestigiosi brand del comparto.
Una professione fatta di studio e approfondimento, “perché quando progetto e realizzo un nuovo negozio penso sia giusto, per la migliore riuscita, entrare nello spirito del prodotto che sarà esposto e studiarne le caratteristiche, per meglio valorizzarlo all’interno dell’esposizione”. Del comparto tavola ha una conoscenza che è stata approfondita nel corso di un trentennio: ne conosce i prodotti, le aziende e l’evoluzione della distribuzione e dei consumi. Consumi che “sono molto cambiati, soprattutto se guardiamo alle liste nozze e ai tempi d’oro degli anni Ottanta dove, in lista, si inserivano anche tre differenti servizi di piatti”


Però, a giudicare dai suoi lavori, il Sud Italia resiste…
Sì, diciamo che nelle aree del Centro e Sud Italia, dove ho realizzato un buon numero di punti vendita, la lista nozze svolge ancora la sua funzione originaria. Ma non solo. Anche l’evoluzione di certi canali distributivi sta rivitalizzando il settore in maniera positiva e verso articoli di fascia medio-alta, alta”.

Quali?
Mi riferisco in particolare alle gioiellerie che, nelle aree meridionali, sono use avere anche uno spazio dedicato a oggettistica e porcellane. Una tradizione molto forte in regioni come la Puglia o la Campania, anche se l’atteggiamento del consumatore sta progressivamente cambiando verso consumi più veloci e al ribasso. Credo sia necessario uno sforzo collettivo da parte del settore per ricominciare a trasmettere quella cultura che è andata un po’ persa in questi ultimi anni.

A quali “attori” pensa?
A tutti, la produzione certamente ma soprattutto la distribuzione e anche altre iniziative come, ad esempio le fiere. In questo senso credo che una manifestazione come Milano Home abbia una grande responsabilità nel valorizzare il settore e far capire il valore dei brand, diventando un vero e proprio laboratorio dimostrativo e, magari, aprendo una giornata anche al pubblico dei privati. Sarebbe un’occasione, per i visitatori, di scoprire cosa significa una bella tavola apparecchiata, ma anche prodotti e marchi che non conosce e che rappresentano le eccellenze della produzione italiana. Eccellenze che vanno tutelate e valorizzate a tutti i costi, pena la vendita o peggio, la chiusura, come purtroppo è già successo per alcune realtà. Questo è un comparto in piena trasformazione che è necessario affrontare con grande attenzione.

Si riferisce alla filiera produttiva?
In parte sì, al mercato interno, ma anche alle dinamiche internazionali che vedono emergere Paesi compratori, fino a qualche anno fa assenti. Il riferimento ai Paesi arabi è scontato, negli Emirati Arabi si sta sviluppando un mercato molto interessante, mentre meno ovvie sono nazioni come l’Indonesia o l’India, in particolare, che sta diventando un Paese sempre più interessante per i produttori di tutto il mondo. Più vicino a noi, vale la pena citare la Turchia, nazione che ha migliorato la propria economia e che è diventata attrattiva non solo da un punto di vista dei consumi ma anche per quanto riguarda la produzione.

Parliamo di negozi.
In questo momento evolutivo, come possono, dal suo punto di vista, contribuire a rilanciare il settore?

Il ruolo del negozio è fondamentale e sono fortemente convinto che tutto debba partire dalla trasformazione del punto vendita, che deve diventare un meeting point, un elemento di aggregazione dove il prodotto deve essere vissuto in forma tridimensionale ed emozionale. Purtroppo, nel nostro settore, il 70-80% dei negozi propone ancora il vecchio schema espositivo con la mensola, il ripiano e un’inadeguata illuminazione, ma io mi impegno quotidianamente per spiegare che, se si vuole sopravvivere, è necessario adeguare il proprio concept e se si vuole proporre articoli di un certo valore, è necessario mostrarli al meglio, raccontarne la storia e il processo produttivo.

Al di là delle strutture e della giusta illuminazione, quali caratteristiche deve avere oggi un negozio di articoli per la tavola?
Il negozio deve essere flessibile, in movimento. Molti negozi hanno la pessima abitudine di voler esporre troppo, trasformando il proprio negozio in un bazar, per lo più confuso e caotico. La quantità non aiuta quasi mai la vendita, meglio creare dei percorsi interni, ad esempio legati ai materiali e selezionare i prodotti da esporre. Questo non significa ridurre l’assortimento ma far ruotare più spesso l’esposizione.

Spesso lo si fa con la vetrina….
Appunto, ma è necessario farlo anche all’interno, con il duplice risultato di rendere l’esposizione più leggibile e proporre al cliente un negozio sempre nuovo. A questo aggiungo l’illuminazione, elemento imprescindibile per un buon allestimento ma che rappresenta il vero e proprio “tallone di Achille” di ogni punto vendita. In ogni nuovo negozio o un restyling è importante avere un ottimo progetto illuminotecnico realizzato da un professionista che, insisto a precisare, non è un costo come molti sono portati a pensare, ma un investimento.

In questo momento storico, si parla tanto di “customer experience”, come possiamo esplicitarla in un negozio di articoli casalinghi?
Sicuramente con gli elementi di cui sopra e l’aggiunta, se possibile, di spazi legati all’aspetto culturale del prodotto. Ad esempio, un piccolo salottino con dei libri a tema, video wall per raccontare la storia delle produzioni storiche e l’organizzazione di piccoli eventi a tema. Diciamo che se fossi un negoziante l’ultima cosa che chiederei al cliente è “Cosa desidera?”: non dimentichiamo che non stiamo parlando di prodotti essenziali ma di articoli il cui valore aggiunto, oltre all’estetica, dev’essere svelato, compreso. Si tratta per lo più di prodotti per cui bisogna innescare il desiderio d’acquisto, attraverso metodologie progettate e pensate, non casuali. È qui che entrano in gioco le dinamiche della progettazione, le sinergie tra negoziante, professionista e esperti di marketing di comunicazione. Naturalmente, senza dimenticare la formazione degli addetti alla vendita e l’implementazione di servizi come il post vendita, l’integrazione per rottura, la consegna a domicilio con eventuale allestimento in casa.

Quanti sono, attualmente, i punti vendita in linea con questa visione?
Pochissimi, se dovessi dare una percentuale direi non superiore al 3% e, purtroppo, con poca consapevolezza dell’inadeguatezza della propria struttura. Invece, c’è moltissimo da fare e sono sicuro che i risultati consentirebbero soddisfazione e anche un maggiore coinvolgimento da parte delle nuove generazioni che, spesso, non desiderano o non hanno “mani libere” per proseguire le attività commerciali dei genitori.

Come può la produzione essere d’aiuto?
Sicuramente con la formazione del personale di vendita e inviti direttamente in fabbrica per far conoscere la varie fasi della realizzazione del prodotto, supporti e merchandising sul punto vendita e agevolazioni, come ad esempio il lancio di nuovi decori in conto visione, magari con kit realizzati ad hoc, senza costringere il negoziante ad acquistare subito.

Infine, cosa ne pensa della possibile apertura di negozi monomarca? Hanno spazio?
Credo siano troppo costosi per trattare un solo brand, diversamente se comprendessero più marchi, potrebbero farcela, un po’ come fecero i negozi Richard Ginori per qualche tempo. Tuttavia, in questo senso vedrei meglio un’insegna multibrand, creata ad hoc, da aprire nelle maggiori città italiane: diciamo un 150 m2. in centri come Milano, Roma, Napoli, Bari, Catania e Bologna. Penso che sarebbe un’esperienza molto interessante.

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