Francesca Bosa trasforma l’eredità di famiglia in un gioco di design e artigianato, creando pezzi unici che mescolano funzionalità e fantasia
Saper essere leggeri è un’arte, e Francesca Bosa lo sa bene. L’azienda fondata dal papà Italo nel 1976 a Borso Del Grappa è un esempio di come si possa coniugare il design con il gioco, di come si possa essere seri senza prendersi sul serio, di come l’immaginazione e il colore siano valori da difendere, in tutti gli aspetti della vita. E Francesca Bosa, immersa nel colore e nell’immaginazione ha trascorso la sua infanzia. “Fin da piccola passavo molto tempo nel laboratorio di papà: avevo una forte predisposizione per il disegno e amavo ritrarre i protagonisti dei fumetti. Così, insieme agli amichetti davo forma a questi personaggi con la creta. Aspettavamo che venissero cotti nel forno e poi li dipingevamo. Ricordo che papà un giorno creò degli stampi dei puffi da portare a scuola. Ancora oggi alcuni miei ex compagni mi dicono: ‘ma ti ricordi quando facevamo i puffi in classe?’ Era un primo approccio alla materia, una gioia.”
Dopo il Liceo Artistico – “la scelta più logica, che rifarei” – l’ingresso in azienda. “Quando entrai in Bosa, nel 1994, la collezione predominante era quella classica, legata alla tradizione ceramica dell’asolano. Soltanto da poco avevamo inaugurato le collaborazioni con i designer dopo l’incontro con Marco Zanuso Jr. Per dare impulso a questo nuovo corso anch’io disegnai una collezione che si chiamava ‘Classico Contemporaneo’. Alcuni di questi pezzi sono ancora oggi dei best seller, come la linea ‘Sphere’. Si tratta di sfere molto comuni ma declinate in 4 dimensioni e in circa 300 tonalità. A renderle così speciali sono la qualità dei materiali e dei colori utilizzati, l’artigianalità”.
Tutti i complementi di Bosa nascono dalle mani degli artigiani. “Creare i nostri prodotti a mano è ciò che ci rende unici. È una gran fatica: a livello produttivo non riusciamo ad andare oltre un certo numero di prodotti, e non lo vogliamo nemmeno. Siamo condizionati dall’atmosfera, dal fuoco, dalla chimica. Se c’è vento sappiamo già che qualcosa non funzionerà nella cottura. Ogni oggetto è una sfida: le decorazioni sono spesso complesse e talvolta la produzione non è facile. Questo può rappresentare un problema ma è anche la nostra salvezza, perché quando uno dei nostri oggetti diventa popolare nascono delle copie che non saranno mai, per fortuna, come gli originali”.
A fare da fil rouge tra le collezioni è il tocco divertente, ludico, spensierato. “L’obiettivo di Bosa è quello di incuriosire: un vaso non dev’essere solo un vaso che contiene i fiori, ma dev’essere anche un oggetto bello da mostrare. Nel tempo abbiamo sperimentato linguaggi diversi, ma abbiamo sempre mantenuto l’aspetto curioso delle forme, anche accettando qualche rischio. Un esempio? Quando Elena Salmistraro ci ha proposto la collezione di vasi dalle sembianze scimmiesche ‘Primates’. Ricordo che abbiamo pensato: o li ami o li odi, ma vale la pena rischiare! Fu un successo, uscirono su tutte le testate”.
E se viene da immaginarsi la casa di Francesca Bosa come il regno della fantasia e del colore, così è davvero. “La mia casa? È un contenitore bianco abitato dai nostri oggetti, che cerco di variare sempre per evitare l’effetto showroom. Alcuni li ho disegnati io, oppure papà. Se qualche ospite li nota e ci fa dei complimenti, allora decidiamo se metterli in produzione. L’importante è che facciano stare bene. Che poi, in fondo, è proprio questo il vero senso del design: che sappia creare armonia, in casa e dentro noi stessi”.