Il buon design sfida il tempo

«Definirei il mio approccio al design lento e lo dividerei in due fasi: la prima, che è molto lunga, è di ricerca, nel senso che mi documento sui vari modi in cui il progetto che devo realizzare è stato già affrontato da altri, cercando ovviamente di aggiornarlo e migliorarlo. La seconda è invece molto più veloce perché, avendo stabilito delle linee guida, inizio a disegnare e il progetto acquisisce rapidamente la sua forma definitiva». Con queste parole Tommaso Caldera spiega il suo metodo progettuale che l’ha portato, nonostante la giovane età, a collaborare con varie aziende del mondo dell’arredo e degli accessori casa, tavola e cucina. Ma quali sono le sfide più importanti che un progettista si trova a fronteggiare oggi? – chiedo a Caldera – «Sarei tentato di rispondere la sostenibilità, un tema sicuramente importante di cui tutti parlano, ma non penso che questa sia la risposta più corretta alla sua domanda». In che senso? «Nel senso che noi progettisti non abbiamo il controllo dei processi di produzione, indispensabili per dar vita ad oggetti sostenibili. E’ l’industria che lavora sull’aggiornamento di determinati strumenti e che ce li mette a disposizione. Noi designer quindi possiamo arrivare fino a un certo punto. Dunque, tornando alla sua domanda, direi che la risposta più corretta è che per noi progettisti la sfida più importante oggi sta nella capacità di fare progetti giusti, intelligenti, che non vengano dimenticati dopo una stagione. Realizzare oggetti che durano trent’anni lo trovo un concetto molto contemporaneo sebbene di questa questione ci si sia già occupati negli anni ’70 senza avere peraltro i problemi che abbiamo oggi. In quest’ottica ritengo che sia molto importante dire no a quei progetti che non hanno senso. Non dobbiamo essere bulimici, non è necessario realizzare cinquanta progetti l’anno. È fodamentale invece saper scegliere per essere figure utili alla società». L’innovazione penso sia un’altra sfida importante per chi progetta. Ritiene che oggi essa passi esclusivamente attraverso la tecnologia? «No, sono un grande cultore della forma e del lavoro profondo su di essa quindi per me un oggetto è innovativo anche se lo si aggiorna dal punto di vista formale, se si inventa una gestualità che prima non c’era. Detto questo, la tecnologia è uno stumento utilissimo che sommata al design può produrre cambiamenti importanti. Ci sono alcune tipologie di prodotti che quando vengono aggiornate innovano interi settori merceologici o cambiano un piccolo aspetto della vita quotidiana. In campo medicale ad esempio, se si decidesse di fare un lavoro intelligente sulla forma, sull’estetica di una stampella o di una carrozzina, sono certo che questo farebbe sentire le persone meno invalide, malate…».

Macinaspezie della collezione Trulli, produzione RandD.Lab, foto Delfino Sisto Legnani

Tra i vari settori per i quali lavora c’è anche quello della tavola. È un ambito che la stimola?
«Molto. Quelli per la tavola sono oggetti legati alla gestualità, influenzano in pratica i nostri gesti e dunque hanno un rapporto molto stretto e diretto con noi. Sono inoltre oggetti che rendono più gradevole lo stare insieme, che facilitano la convivialità…». È vero però che le giovani generazioni ad una tavola riccamente imbandita ne preferiscono una più casual e informale… «È vero, è in atto un cambiamento sociologico. Prima i pranzi e le cene duravano ore, oggi al consumo di cibo dedichiamo molto meno tempo, i giovani poi spesso mangiano per strada camminando, non intorno ad una tavola elegante. E tuttavia sono ancora in molti a pensare che passare del tempo intorno ad una tavola non sia un lusso ma un piacere. È a loro che dedico i miei progetti!» Come ultima domanda vorrei tornare ai suoi inizi. Tra i primi oggetti che ha realizzato c’è un accessorio moda, la borsa in pelle “Step” per Pinetti. A questo proposito volevo chiederle qual è la sua opinione sul rapporto tra moda e design, Sono universi distinti o comunicanti? «Il punto di contatto sono gli accessori moda. Borse, occhiali, portafogli, portachiavi ecc. sono infatti oggetti realizzabili sia dagli stilisti fashion che dai designer. Detto ciò, ritengo che queste due discipline vadano tenute distinte. Un designer non potrebbe mai disegnare un abito con la perizia di uno stilista che a sua volta avrebbe delle difficoltà a progettare un bell’oggetto per la tavola. So che questa regola non viene sempre rispettata, ma uscire dalle mie competenze specifiche a me pare un inutile spreco di energia».

Tommaso Caldera

Dopo la laurea in Disegno Industriale al Politecnico di Milano, Tommaso Caldera tra il 2008 e il 2012 collabora con lo studio Odo Fioravanti a Milano, per poi spostarsi a New York nello studio di Jonathan Olivares. Nel 2012 apre a Pavia il proprio studio e inizia la collaborazione con aziende del Design italiano e internazionale. Nel 2013 viene selezionato dall’Istituto Italiano di Cultura di New York come Top Young Industrial Designer. Dal 2016 affianca all’attività di progettazione quella di docenza tra Torino, Bologna e Milano. Da un anno Caldera è Product Consultant di B-line prestigiosa azienda del settore arredo per la quale disegna prodotti, cura il concept degli stand e fa ricerca presso archivi e fondazioni di pezzi da rieditare.

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