Un periodo lungo 50 anni in cui la migliore produzione made in Italy di casalinghi nasce, si afferma, diviene globale e, infine, ritorna in patria, riscoprendo il plus inestimabile della manifattura locale. Un percorso evolutivo non sempre lineare, a velocità differenziate, talora orientato verso obiettivi diversi, che ha comunque sempre cercato di porsi in relazione virtuosa con un mercato in costante trasformazione. Alessandro Durante, direttore delle relazioni esterne e internazionali di Anima – FIAC, offre alcuni spunti per cogliere le pietre miliari del ciclo di sviluppo del Made in Italy, che non rappresenta solo un marchio ma soprattutto un valore, in cui la creatività si intreccia con le abilità delle maestranze nel realizzare prodotti di alta qualità e stile distintivo.
«La prima fase, storicamente collocabile nei primi anni ’70, può ritenersi un momento di maturazione di fenomeni che stavano già germogliando nel decennio precedente», afferma Durante. «È allora che, da un lato, cominciano a strutturarsi imprese che hanno nel Dna una capacità manifatturiera di alto profilo e, dall’altro, i grandi architetti iniziano ad applicare le proprie abilità e visioni non solo agli edifici ma anche agli interni, quindi ai prodotti casalinghi, al living, al comfort abitativo, instaurando un legame fra l’industria ed il mondo del design che diverrà nel tempo sempre più forte». Si tratta di una fase caratterizzata anche da profondi cambiamenti a livello sociale: la gente dedica maggiori cure e spese alla casa, presta attenzione all’ospitalità ed agli strumenti per realizzarla, tende a superare un approccio meramente funzionale agli oggetti casalinghi.
«La produzione di alta gamma del periodo riflette stili di vita sempre più cosmopoliti, tanto che è proprio in quel momento e relativamente al comparto casalinghi che nasce il concetto di Made in Italy: solo negli anni ’80 l’espressione verrà traslata al mondo della moda. Negli anni ’60, dunque, alcuni architetti visionari gettano le basi per un nuovo modo di concepire la casa, applicato grazie alle realizzazioni di imprese capaci sotto il profilo tecnico ed esempi di innovatività. I casalinghi italiani come sintesi di maestria, stile di vita, cultura e tradizione iniziano un fortunato percorso che li porterà a essere sinonimo di stile ed eleganza riconosciuto a livello internazionale nei decenni successivi».
Uno sguardo all’interno dei siti produttivi NasonMoretti, Martinelli Ginetto, Barazzoni, Sambonet , Rcr Cristalleria Italiana, Rometti Ceramiche
Un po’ ovunque il fenomeno italiano desta un notevole interesse nei confronti del comparto lifestyle, soprattutto da parte delle realtà in grado di produrre grandi quantità a bassi costi e considerando l’assenza di adeguate misure di protezione del comparto. «Il settore che era di nicchia comincia così a crescere in maniera esponenziale, in qualche caso mantenendo un buon equilibrio fra qualità e volumi, in altri casi molto meno. Si tratta di un’evoluzione del tutto fisiologica: è ovviamente nella natura dell’imprenditore ricercare una produzione maggiormente competitiva sul piano del prezzo, mantenendo se non addirittura migliorando la qualità del prodotto».
Con il successo a livello mondiale la situazione si complica anche a causa dell’invasione speculativa di una gran massa di prodotti me-too, spesso di dubbio valore intrinseco, che influenzano negativamente la percezione del consumatore verso gli originali, malamente copiati o quasi. Anche per far fronte a queste crescenti difficoltà, quelle imprese italiane che hanno nel frattempo delocalizzato la produzione, cominciano a rendersi conto che riprodurre gli articoli prima realizzati in Italia in terra straniera risulta molto complicato, se non impossibile. «Gli imprenditori e gli operatori, nonché le maestranze stesse di questo settore trovano soddisfazione solo nel “bello e ben fatto” e, inoltre, le produzioni del comparto risultano molto legate a valenze intrinsecamente italiane – come la casa, la cucina, la famiglia, ecc. – per poter trasferire parte della manifattura all’estero senza conseguenze in termini di maggior impegno per ottenere i medesimi risultati. Nella fase di globalizzazione di massa, insomma, chi ha provato ad avventurarsi all’estero ne ha derivato in molti casi brutte sorprese, soprattutto quando si trattava di piccole o medie imprese, con limitate risorse organizzative e gestionali, spesso abituate ad essere ubicate in distretti produttivi altamente specialistici, dove bastavano poche parole e un cenno del capo affinché un intero reparto fosse immediatamente allineato sul da farsi».
Non poteva che seguire la decisa riscoperta del valore della dimensione locale. «In realtà, la maggior parte delle imprese non ha mai lasciato il territorio italiano. Le realtà più grandi e provviste di idonee capacità manageriali hanno provveduto a “fare shopping”, dando vita ad un’elevata concentrazione di aziende e brand: logicamente, se – rispetto agli anni ’70 – molti produttori sono scomparsi nei segmenti a modesto valore aggiunto, in anni più recenti il focus è andato a centrarsi sui prodotti premium e superpremium. Anche a seguito dei percorsi di reshoring realizzati, infatti, l’industria ha messo a fuoco standard di qualità sempre più alti, spesso attestati da certificazioni ufficiali: basti considerare che le PMI del settore dispongono, in Italia, di reparti R&S paragonabili agli omologhi di aziende americane con 500 dipendenti!».
L’avvio del nuovo millennio ha contribuito a porre un accento ancora più marcato sulla qualità, anche in relazione alla crescita della sensibilità del consumatore, che non solo percepisce il reale valore dell’oggetto, ma desidera essere pienamente informato sui suoi contenuti intrinseci. «Negli anni 2000 si realizza il reshoring di alcune realtà produttive e, contemporaneamente, emerge la tendenza a produrre linee diverse, provviste di standard adatti a specifici Paesi. Negli ultimi 15 anni, poi, si avverte la presa di coscienza, da parte delle imprese, del fatto che la competitività su un determinato mercato, estero o italiano che sia, richiede una presenza strutturata. Non stupisce, quindi, che – in un contesto come quello italiano, in cui i retailer specializzati continuano a diminuire numericamente – alcune imprese manifatturiere di alta gamma abbiano avviato catene di negozi o store di proprietà, agendo secondo logiche proprie ai brand del lusso».