Per molti designer il lockdown ha rappresentato un proficuo periodo di riflessione. Tra questi vi è sicuramente Ilaria Marelli, progettista a 360° con una predilezione per gli aspetti sociali e culturali della professione, art director, insegnante di Design Innovation al Politecnico di Milano.
In questi mesi i miei stati emotivi sono stati alterni. All’ansia che ha caratterizzato la prima fase è subentrata una sorta di tranquillità zen che mi ha portato ad approfondire certi aspetti del mio lavoro, sui quali la riflessione però era già avviata da tempo. Il fatto positivo è che tramite le piattaforme digitali sono riuscita a condividere le mie idee con colleghi e imprenditori, un proficuo scambio che raramente avviene quando tutti sono immersi nelle proprie attività.
Visti i numerosi progetti relativi a strumenti di protezione personale il lockdown ha forse avuto il merito di riportare in primo piano l’aspetto funzionale del design?
Sì e no. Inizialmente anch’io ho pensato che per motivi pratici saremmo tornati al minimalismo, come progettare superfici igienizzabili con facilità… Poi, però, vivendo la casa mi sono accorta dell’importanza dell’emozione, soprattutto in un momento come questo in cui tutto è un po’ asettico. Direi quindi che il compito del progettista è oggi quello di lavorare ad una “New emotional normal” in cui la praticità sia sempre accompagnata dall’emozione di cui si ha ancora bisogno.
Tra gli ultimi tuoi progetti c’è “Il camerino al centro” mirante ad innovare il fashion retail.
Si tratta di un format pensato per dare un miglior servizio al cliente e allo stesso tempo ridurre le dimensioni dei punti vendita e renderli più diffusi sul territorio. In un’ottica omnichannel, il progetto prevede nuove modalità ibride, tra on-line e off-line. On-line troviamo il catalogo da cui fare una prima selezione dei capi che ci interesserebbe acquistare. Dopo aver comunicato le nostre scelte, su appuntamento ci rechiamo in negozio per la prova dell’abito e l’eventuale acquisto. Ancor oggi, i negozi di moda tradizionali dedicano la gran parte dello spazio all’esposizione di prodotti e poco agli spazi di servizio (informazione, prova dei capi, magazzino). Con il mio progetto che funzionerebbe anche nel campo dell’arredo, avverrebbe l’opposto. Tra l’altro una soluzione di questo tipo ridurrebbe i tempi di permanenza in negozio, l’ideale in tempi come questi.
Ma così non verrebbe meno quel rapporto umano che è uno dei punti di forza del negozio tradizionale?
Accadrebbe il contrario. Quando il cliente arriva in negozio, il commesso conosce già le sue preferenze perché le ha espresse attraverso il sito. È in grado quindi di garantire un servizio personalizzato a differenza di quello offerto in un negozio tradizionale, magari attento, ma più standardizzato.