Intervista al Presidente ICE Riccardo Monti, che racconta la trasformazione dell’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, oggi guidata da uomini d’impresa
Lei è presidente dell’Ice da poco più di tre anni, quali sono gli obiettivi che si è posto e i risultati che ha conseguito?
Gli obiettivi che ci siamo posti erano sostanzialmente di due ordini: il primo era far diventare la vecchia Ice una moderna agenzia di Trade and Investment Promotion, integrando gli strumenti di promozione dell’export con la capacità di attrazione degli investimenti verso l’Italia; il secondo era quello di portare l’Italia, secondo un piano che era stato deciso insieme al Governo, a raggiungere 550 miliardi di euro di esportazione di beni o servizi entro la fine del 2016.
Cosa sta facendo in concreto per aiutare l’export italiano?
La concretezza è una caratteristica insita nel nostro lavoro. Quest’anno abbiamo oltre 1200 iniziative promozionali, dalle grandi fiere internazionali (come Anuga, la Fiera Internazionale dell’Alimentazione, TuttoFood) a seminari formativi tecnici vertenti su tematiche di interesse per imprenditori e operatori del settore (dalla difesa della proprietà intellettuale alle attività di ricerca di importatori). Il lavoro si articola in attività disparate dirette verso realtà aziendali di differenti dimensioni che operano in paesi molto diversi tra loro.
Quali servizi offre Ice agli imprenditori?
Possiamo dire che l’Ice ha due grandi filoni di attività: un filone rappresentato dal programma promozionale e un filone sempre più importante rappresentato dall’assistenza one to one. Sempre più spesso ci capita infatti di assistere individualmente le aziende nella loro attività di esportazione, soprattutto quando queste avendo già avuto esperienze di export vogliono entrare in altri paesi. Stiamo potenziando in maniera massiva quest’area e cerchiamo continuamente di elaborare servizi ad altissimo valore aggiunto, come i piani strategici di sviluppo per entrare in nuovi mercati.
Potrebbe fare un esempio?
Abbiamo a che fare ogni giorno con esperienze di questo tipo. Ice quest’anno ha operato con circa 30 mila imprese sia attraverso il sistema promozionale che attraverso l’assistenza individuale. L’80% di queste sono imprese già esportatrici che ci chiedono di aiutarle ad aprire nuovi mercati. Ice negli anni è stato più volte criticato per essere un centro di spesa inefficiente.
Cosa è cambiato?
È cambiato innanzitutto il contesto economico e sociale. Questo ha portato le imprese a diventare più esigenti, nel frattempo lo Stato ha capito l’importanza di curare e soddisfare le esigenze delle imprese e il sistema diplomatico si è adeguato a questa nuova visione. Secondariamente è cambiato il management dell’Ice. I miei predecessori sono tutti diplomatici o professori, la scelta di un imprenditore, come il sottoscritto, alla guida dell’agenzia ha come evidente scopo quello di avvicinare l’Ice al modo di agire e di pensare delle imprese.
Chi sta trainando l’export italiano?
Senza dubbio a livello di numeri il primo settore è quello dei beni strumentali, quella che si chiama genericamente “meccanica”, che vale da solo oltre 100 miliardi di euro. Un settore molto articolato e composto da varie nicchie e in cui il nostro paese rappresenta un leader mondiale. La leadership dell’Italia in questo settore è data dalla somma delle leadership nelle nicchie: dai macchinari per il trattamento del legno o della plastica a quelli per la lavorazione del vetro, dai macchinari per l’imbustamento dei medicinali a quelli per la spremitura o l’imbottigliamento del succo. Il secondo settore è l’agroalimentare, in cui l’Italia gode di una leadership purtroppo solo qualitativa e non quantitativa. Il terzo aggregato è poi quello che chiamiamo “Italian style” e che racchiude i settori della moda, della gioielleria e della pelletteria.
Quale suggerimento darebbe al Governo per potenziare il sistema industriale?
Credo sia giusto cavalcare la globalizzazione come grandissima opportunità per la rinascita del nostro sistema economico, bisogna allora potenziare risorse e strumenti per accompagnare le nostre aziende all’estero.
Come stanno andando gli investimenti italiani negli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti rappresentano in questi anni una grande storia di successo, costituendo il mercato con il più elevato surplus commerciale. Un mercato che sta continuando a crescere in maniera esponenziale. La nostra scommessa, per riuscire a massimizzare le esportazioni negli Usa, è quella di riuscire a diversificare geograficamente l’export, sfruttando soprattutto le aree ad alta crescita economica e di domanda.
Cosa può fare l’Italia per difendere i propri prodotti dalla contraffazione?
Stiamo lavorando su vari livelli essendo quello della contraffazione un fenomeno in grande espansione. Abbiamo creato in tutto il mondo dei desk informativi dedicati gestiti dall’Ice in collaborazione con esperti legali locali. Nel frattempo stiamo cercando di difenderci sensibilizzando consumatori e istituzioni soprattutto in quei paesi dove il fenomeno è maggiormente presente. Per quanto riguarda il cosiddetto “Italian Sounding”, fenomeno diverso dalla contraffazione, stiamo lavorando da un lato ad educare il cliente finale a riconoscere cosa è realmente italiano, dall’altro lato, attraverso rapporti di libero scambio, stiamo cercando di ridurre il perimetro di quelle aree in cui assistiamo ad una totale indifendibilità del prodotto originale italiano.
Che cos’è il piano Export Sud?
Il Sud non esprime neanche il 10% dell’export italiano. Abbiamo deciso di impiegare una quota di fondi europei non spesi nel finanziamento di attività di supporto dedicate alle imprese del Sud. Questo non ha significato dare un vantaggio ad alcune imprese rispetto ad altre, bensì ridurre uno svantaggio competitivo di matrice geografica ed economica. I primi risultati sono stati molto incoraggianti.