Nell’arredo della tavola la ristorazione ha la sua voce in capitol. Molto spesso, addirittura, sono chef e direttori di sala a dettare nuovi stili nella mise en place, tendenze che possono influenzare l’arredo tavola anche nelle case dei consumatori più sensibili. Motivo per cui abbiamo colto le opinioni di due professionisti di alta caratura del mondo della ristorazione: uno chef come Fabio Pisani e un direttore di sala e sommelier come Alessandro Pipero.
Fabio Pisani, dopo prestigiose esperienze, dal 2005 insieme ad Alessandro Negrini ha raccolto il testimone dello stellato ristorante Il Luogo di Aimo e Nadia, a Milano. Fa capo alla coppia Pisani-Negrini anche la gestione dei ristoranti Voce e Aimo e Nadia BistRo, creato in collaborazione con Rossana Orlandi, luogo di incontro tra la cultura della gastronomia italiana e quella del design.
Partiamo dal ristorante storico, il Luogo di Aimo e Nadia, ristrutturato di recente. Qual è lo stile che avete scelto? In generale, la nostra idea è che per una questione di igiene e pulizia, è importante coprire il tavolo. La tovaglia è un elemento che completa il servizio, anche se in molti oggi l’hanno abolita. Ma noi non siamo propensi a seguire le tendenze, bensì a seguire una nostra linea, che ci dà una identità precisa. Primo elemento della mise en place, dunque, è la tovaglia.
Utilizziamo tovaglie in puro lino 100%, bianche e con caduta lunga, nessun coprimacchia e sotto la tovaglia il classico mollettone, per ammortizzare i rumori. Sul tavolo disponiamo i bicchieri – che Carlo Moretti (NasonMoretti, Murano) ha disegnato per noi -, il piattino del pane e quello dell’olio. Inizialmente non mettiamo altro: ci piace dare all’ospite l’idea che la tavola viene apparecchiata a mano a mano che uno mangia. Un po’ come la costruzione di un piatto avviene poco per volta: ci sembra che questo dia maggiore consapevolezza di ciò che arriva al tavolo, valorizzando la pietanza. Perché la mise en place costruita ad hoc per ogni tipo di portata richiede accessori differenti, che non solo sono funzionali, ma che sono capaci di “spiegare” la ricetta che sta per essere servita.
Abbiamo scelto un servizio di piatti Bernardaud bianchi, che integriamo anche con una serie di piatti della linea SuMisura disegnati con Angelo Fanfarillo di Royale. Abbiamo anche piatti colorati realizzati appositamente per noi, che utilizziamo nella parte di ristorante che abbiamo chiamato Theatrum dei sapori, dove lo stile è diverso: abbiamo grandi tavoli di cedro apparecchiati con runner: la proposta è sempre gourmet, ma qui c’è una impostazione conviviale e di sharing table che viene valorizzata dall’uso di questo vasellame personalizzato.
Abbiamo eliminato il sottopiatto, per un motivo di “pulizia” del tavolo: preferiamo utilizzare altri elementi, per esempio abbiamo una lampada notebook, che arreda la tavola. Quanto alla dimensione dei piatti, è proporzionata al contenuto: tendenzialmente vanno a crescere di dimensione nel corso del pasto. Il classico Spaghetto al cipollotto di Aimo è servito in un piatto storico Richard-Ginori, mentre la Zuppa Etrusca arriva al tavolo in una capace fondina, per mantenerne la giusta temperatura.
Abbiamo quindi dal piatto da 16 cm a quello da 32, per un totale di una decina di forme e misure differenti, quasi tutti rotondi, e qualche piatto esagonale. Quanto ai bicchieri da vino, abbiamo scelto Riedel e Zalto, ci piacciono per la loro particolare trasparenza e leggerezza. Abbiamo recuperato l’argenteria storica di Aimo Moroni come le cloche e le sorbettiere, mentre per le posate abbiamo scelto Christofle, per determinati eventi, e Mepra, che utilizziamo in tutti i nostri locali.
Alle Gallerie d’Italia, in piazza della Scala, c’è poi il nuovo Voce, un locale elegantissimo, dove il cliente può cenare come in un museo. In questo ristorante la sala è allestita con tavoli quadrati e piatti dalle dimensioni più piccole. Anche in questo caso abbiamo tavoli coperti da tovaglie e l’apparecchiatura rispecchia quella del Luogo: al tavolo, appena arrivati, si trovano pochi elementi e il tutto si completa con l’arrivo delle portate. Anche qui i piatti sono bianchi, soprattutto rotondi, qualcuno ovale e alcuni di vetro, che usiamo specialmente per gli stuzzichini. I calici sono Riedel, eleganti e leggeri. Nell’area bookshop-caffetteria abbiamo invece utilizzato tovagliette all’americana o runner, ma sempre in un bellissimo tipo di lino.
Quanto allo stile dell’Aimo e Nadia BistRo? È un ambiente easy, con tavoli piccoli e quadrati, dove la moda e il design sono importanti. Qui abbiamo i tavoli allestiti con i runner bianchi, piatti da 16 o 21 cm di diametro e sempre posate Mepra; i fornitori sono gli stessi, selezionando fra i tanti modelli il tipo di allestimento più adatto allo stile del locale, dove il design è importante. Titolare del ristorante stellato romano che porta il suo nome, Alessandro Pipero è un espertissimo direttore di sala e sommelier, capace di gestire un ristorante con classe e grande personalità. È fra i fondatori dell’associazione Noi di sala, che ha lo scopo di rivalutare la professione del cameriere.
Come interpreti l’allestimento della tavola nel tuo locale? Faccio una premessa: per lungo tempo l’alta ristorazione italiana si è ispirata al modello francese classico, la tavola apparecchiata con il mollettone, la tovaglia di fiandra, il sottopiatto, il servizio di porcellana…
Oggi le cose sono molto cambiate e la ristorazione in Italia ha visto un grande cambiamento di passo e di stile, con i giovani chef e maître che hanno via via inaugurato un nuovo modo di presentare la tavola. Questo significa che una volta esisteva uno standard preciso per la mise en place, mentre oggi si seguono le mode. Per cui vediamo una grande libertà e varietà di stili ovvero l’affermarsi di una grande identità personale: c’è chi ha tolto la tovaglia, chi ha abolito il sottopiatto, c’è chi lascia la tavola vuota e la apparecchia solo all’arrivo del cliente…
Le modalità sono quanto mai differenti e tutte potenzialmente accettabili, dipende dall’identità del locale. Per quanto mi riguarda, per un fine dining come il nostro amo uno stile classico, per cui la base resta una bella tovaglia bianca – perché il bianco non perde mai di attualità sulla tavola – il sottopiatto, il piatto, il bicchiere dell’acqua e quello del vino, oltre alle necessarie posate.
L’evoluzione dei tempi ha però cambiato anche la tavola più classica. Certamente si utilizzano oggetti differenti. Ad esempio, trent’anni fa il bicchiere dell’acqua era più grande rispetto a quello del vino, mentre oggi le cose sono all’opposto. Quanto ai piatti, se una volta c’erano solo il piatto piano e la fondina, ora ci possiamo sbizzarrire con una selezione di una decina e più fra forme e dimensioni differenti di piatti, ciotoline, vassoietti, che lo chef sceglie in base al tipo di pietanza, ma sempre rigorosamente bianchi. Al massimo abbiamo alcuni formati in vetro trasparente. Per quanto mi riguarda ho scelto i cristalli di Zalto.
Quanto ai piatti, ho scelto i sottopiatti di Bernardaud caratterizzati da un cerchio dorato che riprende le tinte metalliche dei miei lampadari di rame, così come hanno un supporto in rame le alzatine per il pane. Quanto alla dimensione dei piatti, che fino a non molto tempo fa avevano raggiunto misure importanti, ora si sta tornando a proporzioni più contenute. Capitolo importante sono le posate, che per me sono quelle argentate, ma di stile moderno. Per il tovagliame ho scelto un tessuto lino-seta, ovviamente bianco, con una bella caduta, che però oggi si vuole meno lunga.
Concludo sottolineando che anche l’allestimento della tavola necessita una costante attenzione; dal mio punto di vista è bene scegliere uno stile personale e poi perseguirlo con costanza.