Pentole Agnelli, azienda bergamasca specializzata in strumenti di cottura dal 1907, riqualifica la propria zona industriale e incarica lo Studio Acerbis di ripensare parte del sito produttivo per ritagliarvi all’interno il nuovo showroom e l’annesso Ristorante Bolle dello chef Filippo Cammarata, e proponendo un percorso di sensi e conoscenza, dagli strumenti per la cottura alla cucina.
Nell’intervento sui capannoni dell’azienda sia il progetto progetto architettonico che l’interior design sono a cura dell’architetto Marco Acerbis che ha interpretato l’esigenza della committenza Agnelli di presentarsi al pubblico non solo con un nuovo spazio per la vendita, ma con un luogo che fosse un’esperienza di qualità nel mondo dell’alta cucina. La fabbrica si apre così alla comunità, riqualificando anche la zona industriale.
“Qui dove la materia si trasforma in emozione. Questa è stata la riflessione che ho
fatto agli inizi del percorso intorno a cui la progettazione del ristorante è nata e si è
sviluppata. La grande lezione degli chef è proprio quella di trasformare la materia in
qualcosa di molto superiore che non solo contribuisce al farci star bene fisicamente
ma anche psicologicamente. La grande cucina è fatta anche di grandi emozioni.
Nasce così un progetto architettonico fortemente materico, dove la scatola e la pelle
del manufatto edilizio traspirano di sensazioni che sono trasmesse al visitatore sotto
forma di emozione, sorpresa e desiderio di scoperta”. Marco Acerbis
LO SHOWROOM
Lo spazio espositivo dedicato ai prodotti appare sulla sinistra, separato dall’atrio da un sistema di librerie con ripiani in legno che funziona da allestimento, e dagli unici due pilastri portanti che sorreggono la pavimentazione della sala ristorante soprastante. Qui tutta la collezione di pentole Angelli è esposta su espositori in alluminio alveolare piegato con moduli sinusoidali, progettati su disegno di Acerbis. “La vetrata con i ripiani in legno e le profonde trasparenze attraverso le pentole esposte riportano il visitatore, seppur temporaneamente, nel mondo reale degli oggetti e del design. Ecco qui esposti gli strumenti che permettono allo chef di trasformare la materia in emozione”.
Addentrandosi nello spazio a doppio volume, illuminato da finestre a soffitto, sullo sfondo si
presenta la reception con il desk in ferro naturale cerato, lo stesso materiale che continua sul parapetto della scala d’accesso al primo piano. Interessante notare che la scala è posizionata in direzione opposta all’ingresso, per creare una pausa visiva ed enfatizzare l’arrivo al primo piano. “Allontanandosi dallo showroom si comincia a salire le scale appositamente progettate nel senso opposto a quello dell’ingresso. Una scelta audace che costringe il visitatore a fare un dietro front, quasi a resettare il pensiero per concentrarsi sull’emozione successiva. La mano si appoggia al corrimano per scoprire con il tatto la presenza del legno, allontanando l’impressione che tutto sarà freddo e grigio come il ferro dei parapetti”.
IL RISTORANTE
Da una sala d’attesa con poltrone che si affaccia all’esterno, si accede alla sala ristorante di circa 60 coperti, introversa e schermata da divisori circolari e rotanti di 3 metri di diametro, realizzati in stucco veneziano su struttura metallica e cartongesso.
I tavoli dal diametro di 120 cm – così come le consolle in sala e gli stessi divisori – sono realizzati su disegno di Marco Acerbis. Ognuno ha un faretto per la luce diretta e orientata. Tutto è disegnato o scelto da Acerbis: dalle tovaglie in lino che richiamano il mollettone ad alcuni pezzi della stoviglieria realizzati insieme al ceramista Roberto Domiziani.
L’interior design della sala è concepito per isolare il cliente all’interno di un ambiente minimale e ieratico, puntando il riflettori sui piatti dello chef: unica nota di colore in un ambiente volutamente neutro.
“La spazialità è giocata qui sulle dimensioni delle forme che creano tensione ed equilibrio. Un ristorante dalla grande pulizia formale e di grande rigore geometrico. La geometria, l’ordine, la luce diffusa e di taglio, l’alternarsi di materiali quasi grezzi creano quell’ambiente dove all’apice della trasformazione spaziale architettonica si può godere della massima espressione culinaria delle materia che si è trasformata in emozione”.
La cucina e lo chef table
La cucina è il frutto di un continuo scambio di idee tra lo chef e l’architetto sia sulla
funzionalità dell’ambiente sia sull’inserimento dello chef table, il tavolo all’interno dove poter ammirare lo chef all’opera e, di fatto, mangiare con lui in cucina. È costruito in muratura rivestita da una resina scura ed è illuminato da una finestra a soffitto che proietta all’interno la luce naturale. Le pareti attorno al tavolo sono rivestite da piastrelle bianche dal disegno rétro che evocano le cucine professionali della tradizione.
Come una sorta di altare, lo chef table è un arredo fisso in un ambiente dove tutto è in movimento.
IL PROGETTO
L’involucro
All’esterno colpisce la matericità e il contrasto tra pieni e vuoti della nuova facciata del capannone, che svetta per 10 metri lungo la strada, pur mantenendo il linguaggio e le proporzioni della tipologia del capannone industriale. L’involucro presenta un rivestimento argentato, che richiama l’idea dell’alluminio, materiale alla base delle imprese della famiglia Agnelli. L’ampia superficie vetrata della facciata è una sorta di timpano a tutt’altezza da cui si accede agli spazi aperti al pubblico.
La struttura
Un volume solo per il capannone lascia comunque distinti e separati al suo interno lo spazio dello showroom e quello del ristorante. Il primo ha una struttura in calcestruzzo prefabbricato; mentre il secondo è realizzato in calcestruzzo armato gettato in opera post compresso – una tecnica costruttiva che consente di avere una luce libera maggiore.
Gli interni
L’estetica degli spazi ha un’impronta “maschile” e minimale, con chiaroscuri netti, scaldati da pochi accenti in teak. “I materiali sono semplici e dai colori neutri, cemento chiaro e ferro cerato, che proprio nel loro essere così diversi si attraggono e si respingono in un equilibrio di forze”.