Eppure la maggioranza dei suoi colleghi non esprime la stessa passione/considerazione per il tessuto, almeno in Italia…
Sì, è una vecchia storia, ma non è così semplice e univoco dedurre che l’architetto o il designer italiano non ama il tessuto. Prima di tutto perché ci sono fior di designer che il tessuto lo usano eccome, e poi perché un ruolo fondamentale lo gioca il mercato con cui il professionista, volente o nolente, si deve confrontare nella quotidianità. Più che gli architetti è il mercato che nel nostro paese, da almeno cinquant’anni, è convinto che basti la forma per dare sostanza al design e che la materia sia un fattore secondario. Quindi più la materia è semplice e omogenea, più si è certi del risultato. Decenni di questa convinzione, di richieste dell’industria e della distribuzione orientate solo in quel senso, hanno abbassato notevolmente la percezione di valore nei confronti del tessuto e hanno convinto i designer (e qui qualche colpa la categoria ce l’ha) che l’aggiornamento nei confronti del tessuto è inutile o secondario. Con una materia sconosciuta è difficile creare, e se c’è “non conoscenza” su una tipologia di superficie, è quasi impossibile esprimerne le potenzialità all’interno di un complesso progetto di design. Questo è lo stato attuale della considerazione del tessuto da parte del mondo del design, e non è certo responsabilità solo della sottovalutazione da parte del mondo degli architetti.
Fin qui in Italia, ma all’estero l’approccio è diverso?
Totalmente. È davvero un altro mondo. Prima di tutto c’è un apprezzamento maggiore e diffuso nei confronti del tessuto e, soprattutto, della sostanza del suo ruolo. Questo è un argomento fondamentale. Il tessuto non è solo più o meno decorativo, ha un effetto qualificante. Prendiamo l’esempio di un divano. Si dice e si crede che il consumatore chieda sempre il tessuto più neutro e semplice da trattare, per non “caricarsi” di un problema – il tessuto, o il colore, caratterizzante dopo un po’ stufa. Quello prezioso è delicato e si lava con difficoltà, eccetera, – questo può essere vero solo nella misura in cui non gli si conferisce il valore adeguato, avendo ben chiaro che il giusto rivestimento può sottolineare ed esaltare le forme, renderle uniche e originali. Non solo. I finissaggi e le lavorazioni davvero particolari che oggi possiamo realizzare hanno uno straordinario pregio comunicativo, quello del tocco, della “mano”. Un fattore d’innamoramento che vale tanto quanto quello visivo, affidato all’armonia delle forme. Permettetemi una battuta: nessuna plastica riuscirà mai a sollecitare il piacere del tatto come può farlo un tessuto dalla mano calda e setosa! Ecco, all’estero la percezione diffusa è proprio questa.
Un altro fattore importante è la disponibilità a sperimentare, il coraggio di aprirsi mentalmente alla novità e affidarsi alla competenza del partner. In Italia si va dal fornitore e si chiede di vedere il campionario per scegliere qualcosa adeguato a soddisfare un’esigenza; all’estero si va dal fornitore, si spiega l’esigenza e si chiede a lui come si può risolvere il problema. Sembra un banale problema d’approccio, ma è il fondamento discriminante che valorizza la nostra attività.