Designer di tessuti è possibile!

È chiaro, lei è innamorato del tessuto indipendentemente dal fatto che la sua famiglia abbia fondato Beatrix. Però i fatturati devono quadrare e se l’Italia vuole i “soliti” tessuti bisogna piegarsi alle esigenze del mercato. Quindi il suo team creativo deve comportarsi di conseguenza…o no?

Ancora con una battuta potrei dirle che è per questo che noi esportiamo ormai l’80% delle nostre produzioni. Ma non è solo una questione di mercati di sbocco e di opportunità di vendita. In realtà è la concezione più profonda del nostro lavoro a essere messa in gioco. Noi investiamo circa il 10% del fatturato in ricerca e sviluppo delle nostre creazioni. Senza temere di apparire eccessivi direi che potremmo dare idee ad almeno altre tre aziende senza alcuna difficoltà. Prove, sperimentazione tecnologica, test di nobilitazione e quant’altro sono il nostro pane quotidiano. Non riesco a pensare in altro modo al nostro lavoro, quindi la risposta è ovvia: no, non ci pieghiamo a un mercato che richiede omologazione e rassicurante ripetitività, piuttosto ci sfidiamo in continuazione e cerchiamo il confronto dove possiamo esplorare al massimo il gioco della ricerca. Del resto è proprio aver compreso che sono pochi i limiti alla sperimentazione che si possono incontrare nel mondo del tessuto che mi ha fatto apprezzare questo ambito professionale; sarebbe assurdo quindi essere noi stessi a porre dei paletti, semplicemente per ricercare più facili fatturati che poi, peraltro, facili non sono, in quanto ci si va a scontrare con realtà concorrenziali diverse, in una realtà territoriale – quella italiana – che offre possibilità di business sempre più limitate.

Quindi lei sostiene che passione, impegno e creatività sono le componenti qualificanti che permettono di emergere fuori dai confini nazionali, anche se ci si scontra con i colossi mondiali. Non è una visione un po’ romantica?

Calma, non intendevo farla così semplice. La crisi di questi ultimi anni ha radicalmente mutato la ciclicità delle presentazioni. Tutto è diventato più rapido e di conseguenza più caotico e difficile. Prima c’erano mediamente due appuntamenti di presentazione l’anno, oggi ci sono ancora le scadenze fieristiche ma la ricerca non si può fermare mai e il flusso creativo non può avere soluzione di continuità. Questo impone efficienza, capacità organizzativa e flessibilità impensabili solo qualche anno fa. In tutto ciò c’è ben poco romanticismo e molta concretezza, tuttavia l’impresa italiana è apprezzata all’estero non per questi pregi – dati per scontati, in qualche modo – ma proprio per la passione e l’impegno che dimostra ogni qual volta affronta una sfida creativa. In fondo non c’è nulla di diverso rispetto alle ragioni che hanno determinato il successo del nostro design: il mobile italiano non ha conquistato il mondo per l’efficienza dei suoi impianti produttivi – diciamo la verità – ma per la bellezza e l’originalità delle sue proposte. E qui torniamo al fondamento dell’architettura: lo studio delle forme e delle materie al fine di aggregarle con armonia ed equilibrio.

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