Freddi numeri e calda creatività

Lei è entrato in Pozzi Arturo Spa nell’ottobre 2010, giusto il giorno successivo al compimento dei suoi trent’anni. Sono passati tre anni da allora: come giudica il suo ruolo nel ”business development” dell’azienda di famiglia?

Per dare una risposta corretta alla sua domanda dobbiamo fare qualche precisazione. Questa azienda, come molte del distretto tessile comasco/lecchese, nasce nel periodo del boom economico tra gli anni 50 e 60 grazie alla volontà ferrea e alla disponibilità al lavoro e al rischio di quelle generazioni di neoimprenditori. Era l’epoca in cui ci voleva soprattutto grande voglia e buon fiuto e le condizioni di mercato non obbligavano ad analisi economiche particolarmente approfondite. Era mio nonno – Arturo Pozzi – a “fare” e “fare tanto” con geniale saggezza, e bastava così. Poi è arrivata la generazione successiva – mio padre, i suoi fratelli e le sue sorelle – e la specializzazione di ciascuno di loro nelle varie discipline che compongono l’attività industriale e progettuale si è affermata di pari passo all’evoluzione e alla crescita dell’azienda. Io sono il primo rappresentante, anagraficamente parlando, della terza generazione: mi piace pensare che la mia sfida sia quella di essere una sorta di manager di frontiera che analizza e indirizza grazie alle discipline d’analisi economica applicate alla quotidianità di un’impresa manifatturiera. La difficoltà non è stata quella di applicare analisi corrette, bensì riuscire ad adottare un approccio pragmatico in grado di mediare tra l’agire operativo di un’azienda come la nostra e l’impostazione analitica e scientifica del mio modo di concepire l’evoluzione imprenditoriale.

È sicuro che serva? Provoco: per avere successo un’azienda di tessuti deve fare bei tessuti. Che altro?

Non scherziamo. Nessuna impresa, oggi, può prescindere da una corretta e puntuale analisi dei costi, dei bilanci, come base per una progettazione scientifica degli sviluppi futuri. Tanto meno lo possono fare le aziende tessili, e aggiungo italiane, così dilaniate da costi dell’energia e cunei fiscali in surplus rispetto a concorrenti di altri paesi. È ovvio che non basta: però non credo di esagerare se dico che per un’impresa italiana del tessile, fare prodotti di qualità è un dato scontato, fa parte della logica delle cose. Diciamo che in questi anni ho compreso che uno dei meccanismi fondamentali del successo, in aziende del genere, è rappresentato dallo spazio che si lascia alla creatività e all’improvvisazione, a una sorta di anarchia geniale che permette di “annusare” l’idea giusta al momento giusto. Il problema che ormai non basta avere solo quel famoso “naso”: la vera sfida sta nel riuscire a trovare il giusto equilibrio tra dono e analisi, tra genialità e preparazione. L’obiettivo è raggiungere una specie di circolo virtuoso tra lo studio dei percorsi di evoluzione dei costi e le necessità quotidiane di un’impresa che ogni giorno deve produrre metri, metri e metri di tessuto. Se c’è rigidità in ciascuna delle due realtà il meccanismo s’inceppa.

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