Il coraggio delle scelte

Va bene, passiamo allora alla domanda fatidica di prima. Cosa succederà, secondo lei, alla distribuzione indipendente di settore e, in particolare, data la sua esperienza, cosa dovrebbero fare i negozianti italiani per resistere alle conseguenze di una crisi che non è ciclica ma strutturale?

Cominciamo con una convinzione che ritengo sia premessa indispensabile: lo scenario futuro più probabile non vedrà la sparizione completa del dettaglio specializzato in favore di altre formule di vendita. È altrettanto certa una sua trasformazione e riorganizzazione merceologica. Ciò significa che sarà sempre più difficile valutare il peso diretto delle vendite di biancheria per la casa nel canale specializzato, perché essa sarà solo una componente del mix merceologico di un punto di vendita, ma non più unica e isolata. Il negozio specializzato mono-merceologico non ha più la necessaria capacità attrattiva nei confronti del consumatore salvo che accetti di essere un super- specialista, magari fine artigiano, con una clientela selezionata, fidata e piuttosto limitata. Come sarà questo mix merceologico, entro il quale collocare le nostre merceologie tessili, è difficile da stabilire. In termini generali possiamo dire che l’evoluzione naturale dovrebbe essere verso un negozio che sia globale nei confronti dell’arredamento soft – quindi tessile – della casa, accorpando al prodotto finito biancheristico anche il tendaggio o il tessuto tuttavia, tale evoluzione, presuppone un’inclinazione del negoziante verso un’attività più artigiana che commerciale. È pur vero che l’installazione di tende o il mestiere di tappezziere non compete certo tutti, e non è scelta che può essere fatta da un giorno all’altro. Credo quindi che non esista una ricetta specifica e precisa da applicare universalmente, piuttosto bisogna valutare abitudini di consumo, caratteristiche territoriali, altre realtà di vendita contigue per fare la giusta valutazione. Ciò che è certo è che la sola biancheria non regge i costi di gestione di un negozio. Insomma è ovvio che non ci sarà più spazio per tutti, ci si allineerà un po’ alla distribuzione europea per numeri di punti di vendita, ci saranno superfici che si amplieranno per contenere formule total look e alcune che si ridurranno specializzandosi al massimo. Questo fenomeno in Italia, nello sport, sta già accadendo: i negozi sono o di grande superficie o spazi di 80 metri quadrati super specializzati in uno o al massimo due sport.

Esposto ciò, cerco di rispondere alla seconda parte della sua domanda. In qualche modo per andare avanti bisogna guardarsi indietro. Un secolo fa il negoziante – di qualsiasi merceologia – era un punto di riferimento, quasi un amico fidato del suo cliente. La cerchia della clientela era limitata e tutta conosciuta: non c’era Facebook ma i clienti si conoscevano tutti per nome. Poi c’è stato il boom del dopoguerra, il consumismo, la moltiplicazione delle occasioni e dei luoghi d’acquisto e una disponibilità generale molto maggiore. L’acquisto è stato sempre meno riflessivo e sempre più impulsivo, i luoghi si sono differenziati e il negoziante ha sempre più abbracciato l’idea che doveva soddisfare tipologie di clienti le più diverse. L’idea di un profilo preciso di negozio, con un identikit facilmente riconoscibile e selezionabile da parte del consumatore, è stata sostituita dalla certezza che l’offerta doveva essere larga e profonda, al punto da soddisfare la vecchina coi capelli grigi alla ricerca dell’asciugamano di sostituzione come la sposina della buona borghesia alla ricerca di capi sofisticati per la sua nuova casa. Tutto ciò partendo dal presupposto che la vendita era facile e quasi avveniva da sola, senza assistenza.

Poi tutto è cambiato. L’affermarsi di altre formule di vendita e promozione e la crisi di questi ultimi tempi (con un radicale restringimento dei consumi) hanno cancellato tutte queste sicurezze. Il risultato è che il negoziante oggi non è più credibile, non garantisce più nulla, non ha più voglia di raccontare ed essere araldo del prodotto che vende.

Si spieghi meglio, in fondo c’è la marca a svolgere questo compito, a garantire il consumatore…

Certo che la marca svolge questo compito, ma lo svolge – ed è giusto così – in altri luoghi e occasioni di acquisto. Lo fa sui cataloghi a premio, nelle grandi superfici di vendita, su internet, in genere in quei luoghi dove il rapporto tra cliente e negoziante non esiste, allora è proprio la marca a fornire garanzie. Ma nel negozio no, lì ci vuole un dettagliante che abbia il coraggio di mettersi in gioco, che sia il garante, che non sia porgitore di prodotto ma consulente del consumatore cliente. Uno specialista prima di tutto capace di scegliere e selezionare la sua offerta dandogli il profilo e la personalità di cui parlavo prima, e poi altrettanto bravo a raccontare la sua originalità al cliente.

Facendo una battuta, ma non troppo, nel suo negozio è il dettagliante la marca del consumatore. Questo è un problema enorme di mentalità. In questo forte periodo di crisi lo specialista, per far quadrare i conti, cerca di salvare i margini continuando ad aumentare i prezzi al pubblico con prodotti sovente di dubbia qualità. È un errore definitivo, senza appello, decreta la sua fine. L’unico modo per attirare il cliente oggi è fornire un prodotto di qualità sicura al giusto prezzo, altrimenti si fa esattamente il gioco della grande distribuzione. Nel campo dell’accappatoio in microfibra mi è capitato di vedere capi identici – e ovviamente di qualità molto scarsa – venduti nel negozio specializzato a 29 euro e nelle grande distribuzione a 12,90. Questo significa il “de profundis” per il negoziante.

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