di Sergio Coccia
A febbraio, a Parigi davanti alla stazione Saint-Lazare, per cinque giorni, si è tenuto un esperimento di “atelier tessile su strada”. L’hanno chiamato “Textilerie” ed era un evento promozionale organizzato dal gigante globale dell’arredamento (quello che ha sparso scatoloni tutti uguali blu e gialli in ogni parte del mondo, per intendersi). Otto sarte e due arredatori d’interni erano a disposizione del pubblico che poteva scegliere i tessuti su un catalogo ad hoc, dare le misure di cuscini, tende o quant’altro interessava e la sera avrebbe ritirato i suoi prodotti realizzati su misura. Un successo enorme. I comunicati stampa parlano di circa un milione di visitatori. Chiaro che si tratta di una iniziativa commerciale, chiaro che la potenza economica del gruppo svedese permette di fare qualsiasi cosa, chiaro che il contesto urbanistico della “ville lumiere” ha aiutato, ma detto tutto ciò resta una riflessione importante: ove c’è visibilità e contatto diretto col pubblico per il tessuto la risposta della gente c’è ed è concreta. Aggiungo: ove c’è visibilità per il lavoro artigianale e di recupero, la risposta del pubblico è ancora più sensibile. Ecco il problema: la visibilità.
Proprio in una fase economica così complicata solo l’esposizione, il mostrarsi agli altri, il valorizzare la propria maestria artigiana in quanto essenza primaria del servizio di qualità, possono riguadagnare l’attenzione dei consumatori. Ora, non arrivo a predicare di mettere il banchetto e la macchina da cucire in strada davanti al negozio, però ragionare su iniziative capaci di attrarre attenzione dovrebbe essere interesse di tutti. E allora perché non pensare a manifestazioni collettive, magari basate su un’articolazione territoriale e dedicate alla specificità dell’attività artigiana di tappezzeria? Esempi in altri settori ce ne sono quanti se ne vuole: da ogni forma di food ecosostenibile, al mondo vivacissimo dell’antiquariato (in tutte le sue declinazioni) fino a quello del collezionismo. Perché non sognare che in ogni città di media dimensione, una o due volte all’anno, tutti gli artigiani tappezzieri della zona si mettono insieme per mostrare i loro lavori e dare l’esempio di come concretamente possono diventare i protagonisti di una casa totalmente rinnovata con pochi e semplici atti d’intervento estetico? Certo, bisogna avere coscienza del bene comune, mettere da parte gli odi competitivi e capire che da una situazione del genere o se ne esce tutti assieme o non se ne esce. Per nulla facile, ma in un’epoca votata alla comunicazione digitale, in realtà, per riprendere contatto con la gente – e quindi con i consumatori – bisogna sfruttare anche i metodi più tradizionali, andando loro incontro per le strade delle città, dei borghi, dei quartieri. Le iniziative e gli eventi, anche quelli più costosi, vanno relativizzati e ripensati in funzione delle dimensioni del proprio business. Certo che un evento cittadino, organizzato da una ventina di tappezzieri, non avrebbe la capacità attrattiva di ciò che è stato fatto a Parigi, ma sicuramente lascerebbe un segno su quel limitato bacino d’utenza, ricordando a ciascuno che avere per vicino un buon artigiano può essere una soluzione mille volte più soddisfacente per la propria casa che perdersi per i corridoi impersonali di un qualsiasi “fai da te” di un centro commerciale.
Voi cosa ne pensate?