Poi nel 2011 tutto è cambiato. La scomparsa di suo padre l’ha proiettata direttamente alla guida dell’azienda…
Lasciamo stare i drammi familiari che sono un fatto privato. Il nodo della questione è un altro: cosa deve fare un giovane quando viene proiettato alla guida di un’azienda che ha fatto dell’innovazione la sua ragion d’essere? E ancora: come fare a proseguire su questa strada senza depauperarne l’essenza? Una questione che non riguarda i fatti drammatici della vita, ma il grado di serenità e di convincimento nell’accettare una sfida molto complicata. Non si tratta di gestire i numeri di un bilancio – anche se è un aspetto mai da dimenticare – bensì di trovare il punto di equilibrio tra concretezza e visione. Tra un quid di follia sognatrice e una buona dose di capacità operativa e applicativa. Sono convinto che una delle chiavi di successo di questa azienda sia stata, in tutta la sua storia, la capacità di applicare nella gestione d’impresa lo stesso paradigma che utilizzavano i designer che hanno collaborato con mio padre: identificare un’idea innovatrice e applicarla al meglio sul modello letto, esaltandola con le migliori performance stilistiche e di funzionalità. Questa capacità ha decretato il successo del design italiano nel mondo e ha egualmente segnato il successo della Flou. Proseguire su tale strada non è facile, anche perché il mondo intorno a noi cambia, la distribuzione si evolve, il rapporto tra le esigenze quotidiane del consumatore che vive la sua casa e l’impresa che deve fornire gli oggetti e i complementi per il suo arredo non sono più quelle di trent’anni fa. Dunque non ci possiamo mettere a tavolino, comporre diligentemente un programma di idee originali per i prossimi cinque anni e pensare poi di seguirlo pedissequamente. Bisogna continuare a osservare, prendere nota delle mutazioni e agire di conseguenza. Noi siamo una sorta di produttori di sensazioni, e queste devono prendere, di volta in volta, forme diverse.
Calcando il parterre del Salone del Mobile, fino a un po’ di tempo fa Flou era il punto di riferimento in tema di letti, oggi questa specializzazione sembra abbandonata in favore di una visione più globale. La vostra impresa ormai propone molte tipologie di mobili, e a questi si aggiunge l’estrema originalità del progetto Natevo, dove la luce si fonde con gli elementi d’arredo più diversi. Si può dire che non siete più specialisti della cultura del letto ma attori di prima fila dell’innovazione industriale nel mobile?
Mi permetto di dire che siamo tutti e due, e non può essere che così se vogliamo continuare ad avere successo. Parlavo prima di mutazioni del mercato. Bene, per esempio nella distribuzione ci sono accenti in continua evoluzione. In Europa l’argomento letto è ancora vissuto con una certa specializzazione nei dettagli e quindi la nostra offerta è ancora vissuta come profonda e autorevole. Ma nel resto del mondo questa differenza è più sfumata, i negozi sono più complessivi, ruotano attorno all’intera casa come argomento di vendita oppure a un preciso profilo di proposta. Credo, oltretutto, che questa sia anche la tendenza percettiva del consumatore, che opera sempre meno distinzioni tra i vari ambienti. Flou, quindi, non può essere solo specialista, deve dare una risposta globale: precisa nel suo orientamento di stile ma capace di prendere le forme più diverse dal punto di vista del prodotto. Facciamo un esempio: il divano della serie Doze, disegnato da Rodolfo Dordoni, è una perfetta esemplificazione di questo concetto. È un divano moderno, concettualmente perfetto per gli stili attuali ma offre al contempo tutto il comfort che abbiamo sempre introdotto nei nostri sistemi letto, addirittura offrendo riferimenti diretti e visibili alla morbidezza e alle forme del materasso, grazie alle particolari trapuntature e alla composizione a molle della seduta.
E la collezione di biancheria per la casa è ancora importante per Flou?
Certamente sì, fa parte della nostra storia. Ma anche dalla collezione tessile il cliente, e poi il consumatore, vogliono qualcosa di diverso rispetto al passato. Non può essere più un aggregato di proposte tessili, di assoluto valore estetico e materico certamente, ma solo affiancate fra loro. Il tema generale deve essere armonioso con l’intero progetto di stile ed è per questo che la presentiamo per “mood tematici”: non più solo proposte di linee letto ma stimoli stilistici che rappresentano una risposta organica e coerente, almeno dal punto di vista cromatico, alla vestizione dell’intera casa.
E veniamo a Natevo. L’essenza del progetto è già stata ampiamente spiegata, mi interessa però capire se ha raggiunto il suo obiettivo di usare in modo più profondo ed efficace lo strumento internet e i “social”?
È certamente un primo passo verso l’integrazione sempre maggiore tra gli elementi di comunicazione, la possibilità di cogliere fotograficamente tutti gli aspetti della fisicità dell’oggetto e la vendita. Il mondo che usufruisce di internet e dei social network è in continuo movimento ed evoluzione – per noi significa qualcosa come 25mila visite annue tra sito, pagine Facebook e Pinterest – ed è assolutamente meglio disposto alla comunicazione, per esempio, via Facebook piuttosto che via mail. Anche dal lato professionale Natevo ha rappresentato una evoluzione sensibile. Accogliere le proposte dei designer via internet è una modalità più “democratica” e immediata che ci permette di stabilire un dialogo più fitto con molti giovani e creativi utilizzando una piattaforma a loro più consueta e decisamente meno formale. Per rispondere alla sua domanda, il bilancio è quindi molto positivo.
Un’ultima domanda. Flou è sempre stata all’avanguardia in ogni ambito operativo eppure, nonostante sia una sorta di gigante industriale del settore, non ha mai scelto di creare una sua rete di negozi a insegna proprietaria, perché?
Perché le persone sono importanti e per noi sono indispensabili. Lo chiamiamo effetto titolare (del negozio). Solo il negoziante specializzato e indipendente può mettere vera passione nel suo lavoro e nel rapporto col suo cliente. Noi facciamo un altro mestiere e il nostro compito e offrire al negoziante gli strumenti, le idee e i prodotti a cui appassionarsi. Sarà poi lui a trasferire, se vorrà e se noi saremo stati bravi a convincerlo, verso il suo cliente finale. L’insegna monomarca potrà anche essere una chiave distributiva di successo ma per definizione è più fredda e gelida nei confronti dell’utente. Crea un rapporto meccanico e finalizzato solo al consumo. Non è questa la modalità con la quale vogliamo costruire il rapporto con i consumatori.