A fianco della sua esperienza professionale, da molti anni, c’è anche l’attività associativa, oltretutto oggi col ruolo di presidente della Cita (Consociazione Italiana Tappezzieri Arredatori): passione o dovere?
Un po’ dell’uno e un po’ dell’altro. Indiscutibilmente passione perché amo il mio mondo e desidererei vederne il futuro in crescita e caratterizzato dalla giusta considerazione. Poi anche dovere perché noi tappezzieri abbiamo attraversato periodi di alti e bassi dal punto di vista dell’associazionismo e oggi, pur essendo in pochi rispetto al totale in attività, stiamo mettendo il massimo sforzo per tornare a essere una congregazione di riferimento. I numeri dell’Atisea – chiusa nel 2002 – non torneranno, ma la C.i.t.a. – che è nata nel 1975 – riteniamo abbia la possibilità di crescere, soprattutto se riesce a svolgere il suo progetto strategico. Certo tutto è cambiato rispetto ai tempi della sua nascita: allora le sette associazioni regionali (in realtà cittadine ma con forza di coesione a livello delle rispettive regioni) mettevano insieme qualcosa come 1200 circa aderenti e il nostro “movimento” aveva peso e voce in capitolo, tanto da arrivare quasi a far votare una legge sulla patente di mestiere. Abbiamo una splendida sede a Genova e collaborammo con successo alla nascita del Museo della Tappezzeria di Bologna. Il problema vero è che con la chiusura della scuola di Milano, contemporanea alla scomparsa dell’Atisea, si è davvero compiuto un tentato omicidio del mestiere. E ciò che più è grave questa sorta di reato è avvenuto con l’ausilio delle istituzioni e delle amministrazioni, sorde a ogni richiesta di sostegno giunta da parte dei tappezzieri. Come se non bastasse, la stessa rigidità, e anche qualcosa di più colpevole poiché compiuta dalle associazioni sindacali dell’artigianato, si è riproposta tra il 2012 e il 2013 quando abbiamo tentato di riaprire corsi di tappezzeria presso la Scuola di Restauro e Tecniche Artistiche di Piazzola sul Brenta. Insieme al nostro
vicepresidente Marco Longo le abbiamo tentate veramente tutte: ci volevano 30mila euro per lanciare il primo corso, ne trovammo 15mila, ma per trovare i restanti nessuna associazione ne istituzione ci ha dato retta. Odi, gelosie tra componenti politiche, puro disinteresse, e così nulla si è riusciti a fare. Eppure ci sarebbero state tutte le condizioni per rilanciare il mestiere.
Ecco appunto, come vede il futuro prossimo del mestiere, vista la crisi e al di là delle avventure associative?
Guardi, le sembrerà strano, ma vedo parecchie possibilità. Anche a causa della crisi, ma non solo, c’è una richiesta diffusa di “ri-uso” nella gente. Tornano le botteghe di sartoria per strada, è di moda riparare e riciclare. Tra i giovani si riaffaccia un desiderio di manualità, anche fra quelli avviati a studi superiori. Insomma l’aria è quella giusta. Certo, abbiamo perso due generazioni e ora è più difficile fare qualsiasi cosa. Si guadagna meno, c’è maggiore concorrenza dalla distribuzione che propone il consumismo come regola – butta e sostituisci, tanto spendi meno – il lavoro è frazionato e più faticoso. Però non sono pessimista.
Per molti settori del lavoro l’estero è stata una vera e propria scialuppa di salvataggio. So di molti suoi colleghi che operano fuori Italia. Crede che un artigiano tappezziere possa esportare le proprie competenze?
È molto difficile e quando avviene si è comunque legati al lavoro di un architetto coordinatore del progetto di ristrutturazione oppure, e i casi sono rarissimi, si deve essere in grado di garantire forniture quasi semi-industriali. Per gli artigiani della dimensione standard ci vorrebbe proprio una rete, un consorzio promozionale in grado di garantire la diffusione della conoscenza fuori dai confini altrimenti, per i singoli, i canali del lavoro oltrefrontiera sono casuali ed episodici.
Oggi un tappezziere arredatore deve essere più artigiano o più commerciante?
Diciamo che col cuore direi 75% artigiano e 25% commerciante, purtroppo però siamo ormai al 50 e 50. Tutto è immagine, gioco delle parti col cliente. Si fanno miriadi di preventivi per poi scoprire che la variabile prezzo è diventata l’unica importante. La gente non è normalmente informata e quindi è tutta apparenza, dobbiamo tirare fuori decine di campionari solo per far “pesare” la gamma di tessuti che possiamo offrire. In pratica dobbiamo coccolare il cliente. La qualità del lavoro viene solo dopo.
Ma allora il mestiere conta ancora o tappezzieri ci si può improvvisare?
Su questo argomento dobbiamo essere molto chiari. Il mestiere non è cambiato e non si può certo barare. Una cosa è essere un po’ più venditori, un’altra è l’improvvisazione. Su ciò sono categorico. Altro discorso sono però i vari livelli in cui oggi si svolge il nostro mestiere, l’importante e mantenere alta la professionalità nei confronti del cliente e nel rispetto del nostro “mestiere”: voglio dire che non è necessario essere tutti tappezzieri d’arte per avere la stessa dignità professionale. E questo discorso vale anche per l’associazione: non è più tempo di essere snobisti nella selezione dei soci che chiedono l’iscrizione. Dobbiamo differenziare, creare gruppi e sezioni per dare maggiore massa critica al numero di associati e poter pesare di più.
Chiudiamo con le iniziative di sviluppo della C.i.t.a., al convegno dello scorso settembre si parlò di nuovo sito e blog. A che punto state?
In dirittura d’arrivo. Entro un paio di mesi al massimo saremo in rete. Il nuovo sito e un blog che verrà inizialmente gestito da più soci ma nel quale cercheremo di ruotare tutti per dare le risposte ai quesiti che emergeranno. È un punto d’inizio, non le nascondo che vorrei tanto tornare a pubblicare un giornale ma per ora non ci sono assolutamente i fondi. Però mai dire mai. Gli obiettivi sono sostanzialmente tre: aumentare il numero d’iscritti, riattivare un dialogo fitto a livello nazionale e tra le varie realtà territoriali (ecco la funzione del sito e del blog) e programmare la collaborazione o addirittura l’affiliazione con associazioni similari e contigue come per esempio l’Assites.
Ultimissima battuta. Cosa fa grande un tappezziere?
La miglior qualità per un tappezziere, come per qualsiasi artigiano, è creare e plasmare collaboratori che siano vere e proprie risorse per l’attività: in questo modo si esalta e si tramanda il senso del nostro lavoro.